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È la musica la droga buona che rende liberi

blogmgs/25 May, 16/4036/0
Articoli di Franco Mussida

franco-mussidaNon intendo entrare nei particolari di una esperienza di vita e di insegnamento durata più di 10 anni, di cui 7 consecutivi nel carcere di San Vittore a Milano. Con l’aiuto del direttore Luigi Pagano e l’avallo dell’allora responsabile del gruppo di psicoterapia Prof. Garavaglia, tenevo le fila di un laboratorio artistico musicale destinato ai tossicodipendenti.

In quel carcere entravo e uscivo due volte la settimana passando per 11 enormi portoni d’acciaio che erano lo specchio di quella condizione. Poi altri istituti di pena e l’esperienza in una comunità. In quei luoghi ci portavo Musica, non solo quella che diverte, crea svago, quella che vissuta e praticata in un certo modo diventa una potente vitamina per l’anima. L’inizio di questa esperienza è stato quattro anni dopo la nascita del CPM, la fine ha determinato il trasferimento della mia esperienza ad altri musicisti con la creazione di una figura professionale: “L’Operatore Musicale nell’ambito del Disagio Giovanile”. Era arrivato per me il tempo di scegliere tra due strade; proseguire la mia attività artistica e didattica o scegliere l’impegno nel mondo del disagio. Ho scelto la prima. Della seconda mi è rimasto qualcosa che mi ha cambiato in profondità.

Quando si fanno queste cose è bene non farsene un vanto, né tantomeno pubblicizzarle, è roba personale, forte, che segna a fondo, in cui di solito si riceve molto di più di ciò che si da. Se ne parlo ora è solo per far sapere a chi mi legge che l’argomento che intendo affrontare, ovvero le droghe, non verrà trattato sulla base di opinioni superficiali, un paio di libri letti, qualche esperienza, ma ha dietro qualche competenza in pedagogia artistica musicale, un vissuto fatto di drammi personali, un lungo lavoro sul campo in cui, pur addentrandomi in un terreno paludoso fatto di illusioni e disillusioni, c’è stato spazio per maturare osservazioni oggettive.

Lo stimolo ad occuparmi del tema è la nota polemica (già spenta) sulla cocaina. Vorrei parlarne dal punto di vista della Libertà. Quella possibile, che va oltre il “concetto astratto” del libero arbitrio (nella sua vita ognuno può fare ciò che vuole, anche uccidersi). Un punto di vista scomodo che impone prima delle domande.

Provo a farne alcune. “ Quando si è veramente Liberi?”. Quando il nostro agire può considerarsi veramente libero e quando condizionato? E ancora. Si può comunicare ai ragazzi che vincere la sindrome di Peter Pan è possibile, che diventare adulti non è una sfiga ma una opportunità che prescinde dal lavoro e dal successo? Si può comunicare che è possibile acquistare consapevolezza, coscienza di ciò che si è, di ciò che si fa, provando piacere e divertimento, rinunciando cioè ad agitare lo spauracchio della mancanza di valori, della fatica, del sacrificio? Si possono trovare parallelismi comprensibili a tutti per comunicare che è possibile far crescere le proprie facoltà interiori, spirituali, dell’anima, attraverso strade affidabili, affascinanti e sicure? Si può dire che i risultati così ottenuti rimangono per sempre, specificando che le tante facili, possibili scorciatoie, hanno il limite di renderci, deboli, insicuri, succubi di sostanze e di persone senza scrupoli, di portarci in labirinti dell’autodistruzione dai quali poi è difficilissimo uscire?

Servirebbero risposte. Il consumo di tonnellate di coca, cannabis, estasi, anfetamine ecc … non è solo voglia di evasione, di disimpegno, ma desiderio di provare a sentirsi eccezionali, sentirsi parte di qualcosa fantastico, di eccitante. E’ voglia di provare a stare dentro una sorta di vita emozionale e spirituale in 3D, come al cinema, seduti comodamente in poltrona con le dita infilate nei popcorn. Il piacere di provare percezioni esagerate, esasperate e proprio per questo spettacolari. La realtà però è molto più forte, supera ogni immaginazione, ed è certamente molto più eccitante ficcarcisi dentro che illudersi di viverla mettendosi gli occhialini. Come convincere i ragazzi e non solo?
Mi avete sentito dire spesso che la Musica è come il miele o il latte, una sostanza completa. Praticando la Musica si possono infatti coltivare ed espandere le facoltà spirituali, intellettuali, passionali e volitive della persona. La muscolatura serve solo per il governo dello strumento. Tutti gli input di origine musicale arrivano invece da facoltà e forze dell’anima e dello spirito che stimolano piaceri ed esigenze interiori. Queste facoltà, del sentire, dell’immaginare, del pensare, si possono far crescere, espandere, una per una o tutte insieme fino a raggiungere limiti impensabili di percezione e sensibilità.

La Musica è una grande educatrice, un allenatore che a Mourinho gli fa un baffo. Del resto i ragazzi con le droghe non cercano materia, muscolatura fisica, ma sensibilità dilatate, spiritualità osservabili con gli occhi del cuore e della mente non con quelli fisici. Vogliono provare a osservarsi da fuori. Cercano visioni oltre il colore. Immaginare, avvertire la presenza di spazi e mondi paralleli che non sono Giove o Saturno, quelli si vedono. Vogliono andare alla radice dei sentimenti per viverli con la massima intensità. Oppure soffocarli, estirpare la radice maligna del dolore, la gramigna che toglie luce assaporando “l’assenza di dolore interiore”, o la pace del sentirsi collegato al mondo, non in rete, con internet, ma con i sensi, vincendo così lo strazio della solitudine. Anche per questo film come Avatar hanno un enorme successo.

Cerchiamo ora qualche parallelismo utile a indicare strade sicure, salutari, positive per espandere queste facoltà associandole a corrispondenti e pericolose scorciatoie. Partiamo dal rapporto tra la cocaina e la Musica, poi sarà la volta dell’hashish e dell’eroina.
Per chi consuma cocaina, vedersi da fuori è uno degli effetti estremi di una falsa esperienza iniziatica. Come quella di calarsi, di vivere da vincenti una pluralità di personaggi, di maschere d’attore, scegliendo all’occorrenza quella che fa più comodo. Con la cocaina ci si convince di poter essere “uno o centomila”, ci si può mettere qualsiasi vestito fisico o spirituale senza provare fastidio. Si diventa duplicatori di identità. La sostanza aiuta a scardinare il concetto di “Unità” che guida la costruzione della personalità “individuale” appunto, rappresentata dal nostro nome. La sostanza per via del suo agire sull’Io, il centro volitivo della persona, la induce a puntare la sua lente distorta sulla razionalità e l’intelletto. Alla fine, la malattia consiste in un lento costante consumarsi, macerarsi (nei momenti senza sostanza) nel tragico dubbio di non sapere più chi si è veramente. Si innesca un cocktail micidiale fatto di velocità e intuizioni fugaci, dove la ragione intellettuale viene esasperata nella sua capacità di dimostrare tutto e il suo contrario. Si prova la disperazione di non ritrovarsi più, di non sapere più distinguere tra gli specchi quale sia la figura reale che guarda, quale l’illusione riflessa. Non saper più scegliere tra questa cosa o quella, tra un rapporto o l’altro, decidere tra le musiche quella giusta. E quando si è costretti a scegliere, entra in ballo la prepotenza, a volte la violenza. Il tutto per mascherare un “Io” labile che non è cresciuto in modo naturale (Biologico) attraverso il confronto con la vita o attraverso la meditazione, ma è stato coltivato in modo chimico senza l’aiuto di sostanze vitali, con veleni che lo hanno solo eccitato, esaltato, gonfiato come un pallone e alla fine bruciato.

Può la Musica sostituirsi alla cocaina? Ci sono strumenti che possono aiutare a soddisfare il piacere, il desiderio di controllo che l’Io sente di dover avere sul complesso delle facoltà presenti nella persona?

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